LE BASI TEORICHE DEL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
Il “socialismo del xxi secolo” e’ un concetto che ha fatto la sua comparsa sulla scena mondiale nel 1996, attraverso il sociologo tedesco Heinz Dieterich, che era stato allievo della “nuova scuola di Brema” di Arno Peters, e ha insegnato fino al 1977 all’Universidad Autònoma Metropolitana di Mexico, D.F.
Il termine si e’ diffuso definitivamente dopo che il presidente del Venezuela Chavez l’ha utilizzato in un intervento al v forum sociale mondiale, il 30 gennaio 2005.
Nella sua opera “Socialismo del xxi secolo”, Dieterich teorizza un modello di stato apparentemente ispirato alla filosofia e all’economia marxista e fondato su questi fondamentali principi: la teoria delle sviluppo democratico regionale, l’economia d’equivalenza, la democrazia partecipativa e le organizzazioni di base.
Come risulterà a tratti autoevidente, la rielaborazione teorica di Dieterich, depriva la teoria marxista dei suoi tratti fondamentali, distorcendola a fini del collaborazionismo di classe, risultando tributaria al socialismo utopistico proudhoniano per alcuni versi e per altri al riformismo bernsteiniano.
Dieterich scoprì l’applicazione pratica delle sue teorie nel Venezuela chavista, governo del quale fu consulente fino al 2007. In seguito a quella data, le sue scelte personali determinarono una rottura con il governo.
Nonostante ciò, le basi ideologiche da lui tracciate continuarono ad essere applicate e implementate dai governi di Venezuela, Ecuador, Bolivia.
Nella sua messa a punto ideologica matura, il socialismo del XXI secolo non pone in discussione la natura dello Stato borghese, ma teorizza una serie di cambiamenti graduali attuati con metodologia non violenta. Dieterich parlando della metodologia utilizzata nella costruzione teorica, la definisce “combinazione di ragionamento scientifico con l’obiettivo di una pacifica coesistenza sociale”.
In un articolo del 2006, apparso sul sito “Rebeliòn” e intitolato “Il presidente Chavez vuole dare una forte spinta al socialismo del XXI secolo”, Dieterich, dopo una breve constatazione sulla necessità di studio teorico da parte dei quadri intermedi espose le basi teoriche della “nuova economia socialista”.
Soffermiamoci su alcune affermazioni, alcune della quali sono evidentemente delle semplici roboanti dichiarazioni di intenti.
Afferma Dieterich: ”Il primo passo per implementare un’economia socialista è sapere in che cosa si differenzia questa economia dall’economia di mercato che stiamo subendo attualmente.
Le caratteristiche principali dell’economia socialista sono sei: quattro pertengono alla democrazia economica e due all’economia politica del valore.
A. I quattro elementi della democrazia economica:
1. L’nicidenza reale dei cittadini nelle decisioni macroeconomiche, come per esempio, nel bilancio nazionale, 2. L’incidenza reale dei lavoratori nelle decisioni microeconomiche (l’impresa), in particolare sulla percentuale di pluslavoro, che determina il grado di sfruttamento della manodopera, e la percentuale di investimento. 3. L’incidenza reale dei cittadini nelle decisioni economiche della comunità, per esempio, attraverso il bilancio partecipato comunale, 4.La pianificazione dell’economia sulla base delle succitate incidenze delle “maggioranze”
B. Gli elementi dell’economia basata sul valore:
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La contabilità e le operazioni dell’economia devono essere realizzate mediante il calcolo del valore (tempo impiegato), non secondo il prezzo di mercato. 2. Lo scambio di prodotti che si realizza mediante questo è il principio di equivalenza che dà luogo alla giustiza sociale a livello di produzione. In questo modo si realizza la giustizia sociale fin dal primo livello di tutta la attività economica: la produzione.
Seguiamo ancora per un pò Dieterich nei suoi ardimentosi sentieri:
La premessa di base del mio libro è che è necessario disporre di determinate condizioni oggettive per avere la democrazia. Prima di tutto, ci deve essere un certo livello di benessere materiale, è necessaria una certa qualità della vita. Inoltre è necessario avere un’economia che renda liberi dal lavoro non necessario in modo da avere il tempo di partecipare alle pubbliche attività. Credo che queste condizioni siano state raggiunte oggi, in modo da rendere chiaro che lo sviluppo autoritario della democrazia sociale e il socialismo storico in Europa orientale sono stati un fenomeno che ha avuto a che fare con le circostanze della guerre mondiali, e che non è possibile reiterare in alcuna forma. Non è possibile sostituire la partecipazione democratica, con una forma surrogata, sia essa il Partito comunista, una élite capitalista, o uno stato burocratico.
Credo che le istituzioni di base da utilizzare nel periodo di transizione siano abbastanza chiare; se si desidera avere una nuova civiltà, si ha bisogno di una nuova economia qualitativamente diversa. L’economia di mercato che si ha oggi, che è nella sua fase capitalistica, è stata presente per circa 5.000 anni e ora è è assolutamente dominante. Ma se si vuole arrivare a una società post-capitalista, allora si avrà bisogno di una economia post-capitalista. Ciò significa che bisogna porre fine all’economia di mercato.
Che cosa è una economia socialista?
Penso che il principio della catena dello sfruttamento e comando in una economia di mercato, che è la proprietà e la formazione del prezzo, che porta alla appropriazione del surplus da parte del proprietario dei mezzi di produzione, che è questa la catena che deve essere rotta.
Penso che l’elemento decisivo sia il concetto di sfruttamento. Lo sfruttamento non significa necessariamente essere il proprietario dei mezzi di produzione. Se fosse così, allora un manager, per esempio, in una società transnazionale o una banca o altro, che non è il proprietario della banca, non sarà uno sfruttatore, anche se guadagna 10 milioni di dollari all’anno, per esempio. Arno Peters si avvicinò con una definizione molto sofisticata e intelligente. Ha detto che lo sfruttamento c’è ogni volta che un membro della società estrae della ricchezza sociale generale, più di quanto sia stato costruito e prodotto in un anno, se estrae più di quello che ha immesso.
Ad esempio, se si crea una certa quantità di merci o servizi in 40 ore settimanali di lavoro e se si guadagna l’equivalente, di 300 ore di lavoro, mentre si sono immesse solo 40 ore, questo sarebbe lo sfruttamento. Così tutti coloro che possono lavorare avranno un reddito che deriva dal lavoro produttivo e sarà direttamente proporzionale alla quantità di ore che immettono. Penso che sia una definizione molto straordinariamente utile, che dovremmo usare.
Quindi, se si vuole porre fine allo sfruttamento, non è necessario sottrarre la proprietà dai proprietari dei mezzi di produzione. Sarà sufficiente togliere la possibilità di usarli come mezzo di sfruttamento, cosa che si può fare mettendo in relazione direttamente il reddito che deriva dalla proprietà in maniera direttamente proporzionale allo sforzo profuso”.
Ma chi deve attribuire il valore? Qui Dieterich si addentra nella teorizzazione di un sofisticato sistema cibernetico, che sarebbe l’unico e il solo in grado di svolgere tutti questi complicati calcoli.
Quindi, nella visione di Dieterich, è il mercato dei prezzi e non la proprietà dei mezzi di produzione il mezzo con cui si perpetua lo sfruttamento. La sua teoria dello sfruttamento, basata sulla forza, è una rigurgitazione della “teoria della forza” di Duhring, già confutata da Engels nell’anti-Duhring. Nell’opera citata Engels afferma: ”L’economia politica nel senso più lato è la scienza delle leggi che regolano la produzione e lo scambio dei mezzi materiali di sussistenza nella società umana. Produzione e scambio sono due funzioni diverse. Può esserci la produzione senza lo scambio, non lo scambio -che proprio per sua essenza è solo scambio di prodotti- senza la produzione”. E ancora “Il soggiogamento dell’uomo in servitù in tutte le sue forme presuppone che colui che soggioga disponga dei mezzi di lavoro mediante i quali soltanto egli può impiegare l’asservito e, nel caso della schiavitù, che disponga inoltre anche dei mezzi di sussistenza con i quali solamente può mantenere in vita lo schiavo. In ogni caso, quindi, presuppone già il possesso di un certo patrimonio superiore alla media. Come è sorto questo patrimonio? È certo chiaro in ogni caso che è possibile che esso sia frutto di rapina e che quindi poggi sulla violenza, ma ciò non è affatto necessario. Può essere stato ottenuto col lavoro, col furto, col commercio, con la frode. Anzi, prima che possa essere rubato, in generale è necessario che esso sia stato ottenuto col lavoro.
In generale la proprietà privata non appare affatto nella storia come risultato della rapina e della violenza. Al contrario. Essa sussiste già, anche se limitatamente a certi soggetti, nella comunità primitiva naturale di tutti i popoli civili”.
Dieterich cela con la retorica del “raggiungimento del socialismo” la volontà di mantenere la proprietà privata e lo stato borghese.
Un’altra esemplificazione della distorsione semantica dei concetti che pertengono alla storia del movimento operaio e comunista: Dieterich propone, all’interno delle fabbriche, la creazione di “un potere duale”.
A cosa dovrebbe serve l’esercizio di questo potere duale? A porre una seconda etichetta sui prodotti, che ne specifichi il valore in base al tempo di lavoro immesso.
Ma senza mettere in discussione il mercato capitalista, ogni cooperativa è costretta ad operare secondo i principi di mercato dei profitti e delle perdite.
Ancora una volta, un utilizzo sloganistico di un concetto che indicava l’opposto, ovvero l’incompatibilità tra lo stato borghese e quello proletario e la necessità dell’uso della violenza per rovesciare il sistema precedente.
Comunque anche in questo Dieterich dimostra di discendere teoricamente dalla scuola dei socialisti utopistici come Gray, che teorizzavano che bastasse cambiare un solo elemento, ovvero creare uno scambio eguale, e procedere con alcune riforme per poter ottenere un sistema nuovo.
Dopo la morte di Friederich Engels, nel 1895, Eduard Bernstein teorizzò che per costruire il socialismo non era necessaria la presa del potere da parte delle forze rivoluzionarie, ma bensì l’accumulazione di piccoli cambi prodotti dall’azione sociale dentro i limiti stabiliti dalle necessità stesse delle sviluppo economico. Bernstein riteneva fondamentale combinare insieme e armonizzare i vantaggi di una economia capitalista, prestando speciale attenzione alla forze produttive che il capitalismo genera, senza mettere in questione la proprietà privata dei mezzi di produzione, anche se veniva contemplata una necessaria regolazione statale del mercato e dell’economia.
Anche in questo caso si possono comparare le affermazioni di Dieterich, per nulla originali: ”L’economia dello Stato e delle istituzioni sociali può muovere a piccoli passi verso una economia basata sul valore e guadagnare terreno con il circuito della riproduzione capitalista, fino a che esso non scompaia nel futuro”.
Se osserviamo le politiche propugnate dai governi di Venezuela, Bolivia o Ecuador, possiamo effettivamente comprovare che i suddetti governi non hanno mai messo in discussione il capitalismo, ma hanno proceduto a migliorare le condizioni economiche di alcuni settori delle classi subalterne attraverso programmi assistenziali e aumenti salariali importanti.
Il presidente dell’Ecuador, Correa, in una intervista al quotidiano “El telegrafo”, ha riassunto molto bene la questione, in riferimento alla sua gestione: “fondamentalmente stiamo rendendo le cose migliori con lo stesso modello di accumulazione, piuttosto che cambiarlo, perché non è nostro intento mettere al bando i ricchi, ma è nostra intenzione avere una società più giusta socialmente ed economicamente” ( El Telégrafo, 15/01/12)